Lo vidi di sfuggita, solo per un
attimo, ma per quel tanto che basta da farmi tornare sui mie passi, per osservare
meglio ed appagare quel dubbio suscitato da ciò che l'occhio furtivamente aveva
intravisto. Entrai nella penombra della stanza dell'ospedale che conteneva due
letti e vidi chiaramente che l'anziano del secondo era sofferente e protendeva
le braccia verso di me, come un bambino che chiedeva aiuto, forse protezione, o
forse più semplicemente necessitava di calore umano.
Mi avvicinai a lui e stetti un attimo attonito.
Egli non diceva nulla ma i suoi occhi parlavano per lui, quasi ad implorare
aiuto, a voler cercare di capire, cercando comunicare da un abisso di silenzio
e solitudine di cui pareva esserne avvolto. Potrebbe essere un mio parente ho
pensato. Potrebbe essere mio padre questo sconosciuto e subitamente cento finestre si sono aperte
nel cuore.
Mi pare di rivederlo qui, in questo letto, ad
aspettare nella fioca luce della stanza la fine del suo ciclo vitale, il ciclo
della vita rappresentato geometricamente da quella magica figura quale è il
cerchio, che tanto ha fatto scervellare per secoli filosofi e matematici. Eccolo, è tutto qui
quel segreto, racchiuso nel divino rapporto tra la circonferenza ed il suo
diametro: l'intera nostra vita e quella linea che l' attraversa perpendicolarmente
in un lampo, ripercorrendo chiaramente gli istanti più significativi del suo
divenire.
Ma ora che faccio? Magari non lo
posso muovere o forse vuole semplicemente mettersi seduto. Vuole acqua, gli
farà male da qualche parte? Forse vorrà tornare a casa, da suoi affetti, dove
ci sono tutte le sue cose. Magari, vorrà toccare ancora una volta i suoi
oggetti, i suoi arnesi, passare la mano sulle lisce pareti di casa testimoni
dell'intera sua vita, dei momenti più veri, delle sue angosce, delle sue
speranze, o forse come affetto ultimo della sua feroce solitudine. Vorrà
tornare in quella casa dove ha vissuto per tanto tempo chissà con chi: risalire
le scale per arrivare senza fiato sul
pianerottolo di casa ed aprire la porta del suo regno, per affacciarsi dalla finestra e riascoltare le voci, i
rumori, gli schiamazzi uditi così tante volte da divenire familiari, quasi
necessari.
Vorrà fermarsi a contemplare i
nodi di quella porta a loro volta testimoni di tante stagioni, tanti
eventi: di inverni rigidi, di estati
assolate e silenziose del primo meriggio, per riassaporare quell'alito di vento
che di tanto in tanto soffiava da ponente e che portava con sé profumi di macchia, di fieno appena tagliato,
di piante officinali coltivate negli orti adiacenti: lo zefiro. E' iniziato in
questo modo, il mio intendere l'altrui dolore. Due braccia protese m'hanno mosso
ad una smisurata Pietà. " Eccomi! Stringi forte queste mani".
di Daniele Ostuni
immagine - Aiuto dalle mani tese (Ribechi)
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