venerdì 20 giugno 2014

Quarantotto fotogrammi

Quant'era bella mia suocera nella sua semplicità! Quarantotto fotogrammi in piccoli quadratini su un cartoncino A4. Le immagini sono tutte virate a seppia proprio come si usava ai suoi tempi, a quel tempo che la vedeva fiore, che la vedeva ragazza. Eccola qui, in tanti ritratti in miniatura, dove appare  raggiante, tonica, timidamente audace nel tentativo di eseguire i comandi impartiti dal fotografo che la posizionava in piccole varianti espressive, mostrandone ora il pieno volto ora il profilo.  Un'espressione dopo l'altra, una sequenza di tagli per volerne evidenziare tutti i lineamenti.

 Leggermente di spalle,  col viso che guarda in alto, con le mani unite a fianco della guancia, in tipiche pose dei fotoromanzi datati, che  la descrivono a tratti pensierosa, in altri seriosa, poi sorridente, sognante, decisa, leggermente  sbarazzina, ma in tutte, sempre composta, educata come mai i ragazzi dei nostri tempi. Beati loro, beati noi, che non abbiamo vissuto la guerra, che non siamo stati sfollati, che non abbiamo patito. "Siamo stati per due anni alla Roveda" diceva sempre, per ripararci dai bombardamenti. I vecchi ricordano ancora l'espressione "Passa il Pippo" per indicare che da lì a poco sarebbe passato un aereo che avrebbe gettato delle bombe nella zona, perché le guerre dicono che le fanno i soldati ma si vincono sterminando le popolazioni, generando profughi, sfollati, rendendo milioni di persone senza casa, senza cibo, privandole degli affetti, sradicandole, facendole impazzire per mancanza di pace. Pippo era il nome con cui venivano popolarmente chiamati, nelle fasi finali della seconda guerra mondiale, gli aerei da caccia notturni che compivano solitarie incursioni nel nord Italia sganciando bombe o mitragliando nel buio della notte.

 Quel giorno, il giorno delle foto, era il 16 aprile del 1946, questa la data annotata in bella grafia sul retro: avevi diciassette anni e mentre riempivi la tua valigia di sospiri ti preparavi alla vita. Come ti sentivi a quel tempo? A quale avvenire pensavi? Quali erano i tuoi pensieri di ragazza? Anzi, credo già donna. I capelli non molto lunghi sulle spalle avvolgevano un semplice viso, semplice ma bello, più bello della bellezza pura che è finita e che possiede un limite,  un margine. La semplice bellezza invece è infinita, non ha margini, non si conclude mai ed era questa che mostravi. E' presente in mille espressioni, in tante smorfie del viso che quasi pare di vedere un'altra persona, diverse persone, tutte semplici bellezze. Abbiamo conservato i tuoi quaderni di scuola, puliti, ordinati, scritti in bella grafia. Erano piccoli, con la copertina nera senza figure con ai lati dei fogli una riga rossa. 

Sono scritti con una penna di  legno col pennino sulla punta che si intingeva nel calamaio, il quale era posto in un apposito bicchierino di vetro al margine superiore destro del banco, e che andava riempito ogni tanto dal bidello. A volte, se l'inchiostro era troppo ne cadeva una goccia che veniva asciugata subitamente con la carta assorbente. Essi rispecchiano il suo essere, come ella è stata, chiara, ordinata, premurosa, a volte in modo perfino esagerato, testimone d'un tempo appena passato, uno dei più tremendi, ma sicuramente più fraterno del nostro: tempo di cui sono riuscito a sentirne il sapore, respirato le molecole nell'aria e che come talea di pianta ha attecchito nel mio profondo. 

 Credo ti sia spezzato il cuore il giorno che hai dovuto dividere i tuoi figli per poter lavorare - crescere due gemelle ed un ragazzo e lavorare sotto padrone non sono poca cosa da gestire. Quarantotto fotogrammi, quarantotto tratti, quarantotto pose, ed in esse, l'espressione di un tempo, d'una intera vita, d'una vita semplice ed onesta come petali ad una rosa canina.

(di Daniele Ostuni)

1 commento:

  1. Bello!
    Racconto vivido di sensazioni ed emozioni!
    Mi piace il tuo modo di scrivere e descrivere, hai il dono della semplicità e della purezza, complimenti!
    Ottavio

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