Quant'era
bella mia suocera nella sua semplicità! Quarantotto fotogrammi in piccoli
quadratini su un cartoncino A4. Le immagini sono tutte virate a seppia proprio
come si usava ai suoi tempi, a quel tempo che la vedeva fiore, che la vedeva
ragazza. Eccola qui, in tanti ritratti in miniatura, dove
appare raggiante, tonica, timidamente audace nel tentativo di
eseguire i comandi impartiti dal fotografo che la posizionava in piccole
varianti espressive, mostrandone ora il pieno volto ora il profilo. Un'espressione dopo l'altra, una sequenza di
tagli per volerne evidenziare tutti i lineamenti.
Leggermente
di spalle, col viso che guarda in alto, con le mani unite a fianco della
guancia, in tipiche pose dei fotoromanzi datati, che la descrivono a
tratti pensierosa, in altri seriosa, poi sorridente, sognante, decisa,
leggermente sbarazzina, ma in tutte, sempre composta, educata come mai i
ragazzi dei nostri tempi. Beati loro, beati noi, che non abbiamo vissuto la
guerra, che non siamo stati sfollati, che non abbiamo patito. "Siamo stati
per due anni alla Roveda" diceva sempre, per ripararci dai bombardamenti. I vecchi ricordano ancora l'espressione
"Passa il Pippo" per indicare che da lì a poco sarebbe passato un
aereo che avrebbe gettato delle bombe nella zona, perché le guerre dicono che
le fanno i soldati ma si vincono sterminando le popolazioni, generando
profughi, sfollati, rendendo milioni di persone senza casa, senza cibo,
privandole degli affetti, sradicandole, facendole impazzire per mancanza di
pace. Pippo era il nome con cui venivano popolarmente chiamati, nelle fasi finali della seconda guerra mondiale, gli aerei da caccia notturni che compivano solitarie incursioni nel nord Italia sganciando bombe o mitragliando nel buio della notte.
Quel giorno, il giorno delle foto, era il 16 aprile del 1946, questa la
data annotata in bella grafia sul retro: avevi diciassette anni e mentre
riempivi la tua valigia di sospiri ti preparavi alla vita. Come ti sentivi a
quel tempo? A quale avvenire pensavi? Quali erano i tuoi pensieri di ragazza?
Anzi, credo già donna. I capelli non molto lunghi sulle spalle avvolgevano un
semplice viso, semplice ma bello, più bello della bellezza pura che è finita e
che possiede un limite, un margine. La semplice bellezza invece è
infinita, non ha margini, non si conclude mai ed era questa che mostravi. E'
presente in mille espressioni, in tante smorfie del viso che quasi pare di
vedere un'altra persona, diverse persone, tutte semplici bellezze. Abbiamo
conservato i tuoi quaderni di scuola, puliti, ordinati, scritti in bella
grafia. Erano piccoli, con la copertina nera senza figure con ai lati dei fogli
una riga rossa.
Sono scritti con una penna di legno col pennino sulla
punta che si intingeva nel calamaio, il quale era posto in un apposito
bicchierino di vetro al margine superiore destro del banco, e che andava
riempito ogni tanto dal bidello. A volte, se l'inchiostro era troppo ne cadeva
una goccia che veniva asciugata subitamente con la carta assorbente. Essi rispecchiano il
suo essere, come ella è stata, chiara, ordinata, premurosa, a volte in modo
perfino esagerato, testimone d'un tempo appena passato, uno dei più tremendi,
ma sicuramente più fraterno del nostro: tempo di cui sono riuscito a sentirne
il sapore, respirato le molecole nell'aria e che come talea di pianta ha attecchito
nel mio profondo.
Credo ti sia spezzato il cuore il giorno che hai dovuto
dividere i tuoi figli per poter lavorare - crescere due gemelle ed un ragazzo e
lavorare sotto padrone non sono poca cosa da gestire. Quarantotto fotogrammi,
quarantotto tratti, quarantotto pose, ed in esse, l'espressione di un tempo,
d'una intera vita, d'una vita semplice ed onesta come petali ad una rosa
canina.
(di Daniele Ostuni)
Bello!
RispondiEliminaRacconto vivido di sensazioni ed emozioni!
Mi piace il tuo modo di scrivere e descrivere, hai il dono della semplicità e della purezza, complimenti!
Ottavio