giovedì 27 gennaio 2011

Auschwitz - Lettera dall'inferno - di Kurt Weber


3 gennaio 1942, Auschwitz
Dolce Anna,
questa è ormai la sesta lettera che cerco di scriverti in due giorni…Due giorni orribili! Ma a pensarci bene ogni giorno degli ultimi due anni è stato orribile, raccapricciante! Detesto il fatto che è ormai molto, troppo tempo che non ti vedo e ancora di più detesto l’errore più grande che ho commesso in tutta la mia esistenza: venire qua…seguire il Fuhrer! Credevo di combattere per la mia patria, ma da quando sono qua ho perso ogni impulso,
ogni voglia di lottare e continuare questa guerra sotto il comando di un pazzo!! Un malato di mente! Da molto tempo ho maturato l’idea che questo posto sia in realtà l’anticamera dell’inferno… Le nuvole coprono il sole da tanti giorni che ho ormai smesso di tenerne il conto, la neve cade fredda e imperterrita e gli uccelli non passano più sopra a questa distesa di morte…è come se tutta la natura, per volere divino, partecipasse al dolore di questi poveracci che patiscono le pene dell’inferno prima del dovuto…
E proprio questi poveracci, gli ebrei (in grande maggioranza), ma anche zingari, deportati politici e altri considerati, da menti malate, "feccia umana" sono rinchiusi qui ad Auschwitz I , il "campo madre", infatti accanto a questo campo sono stati costruiti Auschwitz II, meglio noto come Birkenau, e Monowitz, ossia Auschwitz III. Io qui sono solamente un soldato semplice e seguo i miei superiori quando bisogna smistare i continui arrivi di nuovi "carichi di bestiame", come li chiama il mio diretto superiore, oppure sto di guardia alla torretta che c’è all’entrata del campo, oppure mi vengono assegnati altri compiti che sinceramente, se fosse in mio potere, non accetterei per nulla al mondo...
Ogni volta che arriva il treno il mio cuore inizia silenziosamente a piangere per quei poveretti…Sono uomini, donne e bambini spaventati che scendono dal treno, carichi di bagagli sperando davvero di venir qua e poter cambiare vita, ma non è così, io lo so…Il treno si ferma e io e i miei compagni iniziamo ad aprire i vagoni…il tanfo è insopportabile! Iniziano a scendere i prigionieri…i bambini tengono per mano le loro madri, anch’esse spaventate, e queste si stringono ai loro mariti. Noi soldati iniziamo il compito, secondo me, più doloroso: separare gli uomini da donne e bambini, separare le famiglie, per poi privarle di ogni bene materiale. In testa ai due gruppi ci sono i medici, i miei superiori, i miei compagni ed io…ma vorrei non esserci, infatti me ne sto il più nascosto possibile per non essere incaricato di accompagnare i deportati, non utili al lavoro o "inutilizzabili" per gli agghiaccianti esperimenti svolti nel blocco n°10, oppure alla camera a gas dove non hanno scampo, ma dove, al tempo stesso, possono acquistare la libertà…
Quelli che non sono destinati subito alla camera a gas sono utilizzati per il lavoro, un lavoro disumano…io li vedo alla mattina presto quando passano sotto alla mia torretta di sorveglianza con gli zoccoli di legno ai piedi e dei vestiti leggeri, troppo leggeri per questo freddo, il capo chino e le lacrime che scivolano sul loro viso. Intanto l’orchestrina suona e accompagna la loro marcia… Li vedo tornare al tramonto distrutti, sfiniti e qualche volta manca qualcuno all’appello
del ritorno…per questi assenti il lavoro sarà stato troppo duro…Intanto l’orchestrina suona e accompagna il loro ritorno…
Quando vedo, nelle capanne, i bambini magri, magri, senza l’ombra di un sorriso sulle loro faccine e gli occhi spenti, piango, mi ricordano la nostra piccolina e penso che potrebbe esserci lei al posto di uno di quegli innocenti destinato ad una morte orribile…Molti deportati muoiono nelle camere a gas appena arrivati, gli altri muoiono di stenti, di fatica, poi ci sono le fucilazioni di massa contro il muro della morte tra il blocco n°10 e il n°11, il blocco della morte, "una prigione nella prigione" dove avvengono punizioni individuali cui ben pochi resistono…Mi è capitato di entrare in quel blocco e ciò che le mie orecchie hanno udito è insostenibile a tal punto che non voglio descrivertelo per non turbare il tuo cuore…Ciò che mi fa rabbia è sentire i miei compagni che credono che quello che stanno portando avanti sia giusto, infatti, sono convinti che la sterminio di migliaia di innocenti è unicamente finalizzato al bene della razza ariana…beh, sai cosa ti dico Anna: mi vergogno di essere "ariano"!! Capelli biondi e occhi azzurri non fanno di me un uomo diverso da quelli che sono qui dentro! Trattati al pari delle bestie, anzi peggio! Insultati,umiliati, ridotti alla fame! Uccisi per colpa della loro "razza"!
Non ce la faccio più a stare qui dentro: ogni volta che uno di loro, un ebreo, mi guarda negli occhi provo vergogna perché so di essere come uno dei tanti suoi carcerieri che magari in quel momento lo stanno accompagnando alla forca…A volte mi viene assegnato il compito di rasare i capelli degli uomini…spogliati di tutto quello che hanno, si siedono davanti a me, infreddoliti e disorientati, mi guardano e mi chiedono (per quel poco che riesco a capire): "Cosa ci faranno?torneremo liberi?"…L’unica risposta che so dar loro è: "Sì"…Torneranno liberi, ma non come credono loro…Intanto che il rasoio passa sulla loro pelle, nella mia mente continua a ripetersi la parola "perché?"…Me lo chiedo ogni giorno il perché di tutto ciò e ancora non riesco a darmi una risposta, una risposta plausibile davanti agli orrori che in ogni momento passano davanti ai miei occhi, ormai stanchi di vedere tutta questa sofferenza.
Quando penso al momento della mia morte ho paura perche so che andrò all’inferno, ma so anche che quel posto sarà la giusta pena per quelli che hanno costruito l’inferno sulla terra! Già…anch’io andrò all’inferno, insieme a tutti i miei compagni e ai miei superiori per il semplice motivo che li ho seguiti fino qua, che ho guardato come loro quei poveretti mentre morivano giorno dopo giorno senza fare niente…ma io non sono come loro…A differenza dei miei compagni, soffro per quello che vedo e soffro per quello che sento qui dentro e per quello che mi ordinano di fare! Spero quindi che Dio abbia pietà della mia anima quando si troverà davanti al Suo giudizio…
Mentre ti scrivo il sole sta tramontando e all’orizzonte inizio già a intravedere il gruppo di prigionieri che tornano dalle fabbriche e dai campi, dietro di me i musicisti stanno prendendo posto nelle loro seggiole per "accoglierli" al ritorno dal lavoro. Nella capanna più vicina a me sento un uomo che piange: forse ha saputo che la sua famiglia non c’è più e che è rimasto solo al mondo, forse spera di poter morire presto per raggiungere sua moglie e i suoi figli…Tra qualche minuto arriverà un mio compagno per darmi il cambio, l’ultima cosa che ti dico è che non vedo l’ora di riabbracciarti e di rivedere i tuoi occhi e quelli della mia bambina, gli unici pieni di gioia che rivedrò dopo tanto tempo!
Kurt Weber

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