martedì 10 luglio 2012

Letter to Bersani di " Roberta De Monticelli"


Questo è uno stralcio di un’accorata lettera di Roberta De Monticelli, professoressa di filosofia della persona presso l’università Vita-Salute del San Raffaele al Segretario del Pd Bersani (e pure alla sinistra intera e non solo) circa alcune riflessioni e quesiti che debbono necessariamente avere risposte sia per la collettività che in ciascuno di noi.


Non occorre essere ambientalisti per osservare che in Italia e soprattutto nella cerchia di Milano si è, e si continua a costruire a dismisura (edifici oltremisura, Tem, Toem, Anas, Pedemontana, Brebebi etc),  ed i dati relativi al consumo di suolo, parlano chiaro. In Italia vengono consumati mediamente oltre 500 chilometri quadrati di territorio all'anno. E’ come se ogni quattro mesi spuntasse una città uguale all’area urbanizzata del comune di Milano. Ma ecco alcune riflessioni - l’intera lettera potrete trovarla al link in fondo alla pagina.

Lettera-  La questione che vorrei sollevare prende avvio dal suo discorso iniziale, nel quale ha accennato a una serie di problemi con cui la cittadinanza e dunque la politica si scontrano, qui ed ora,  ma che  non nascono qui.  Vengono da decisioni prese “altrove” – altrove rispetto ai luoghi deputati della politica “nazionale”, le istituzioni dello Stato, il Parlamento, i partiti. E ha fatto esempi calzanti e familiari – la finanza, il lavoro. Ne ha fatto un terzo che invece non è calzante: l’ambiente. Non sono un’ambientalista – me ne mancano tutte le necessarie, complesse competenze.

DA NOI, l’ambiente è una questione che le comprende quasi tutte. Perché è una questione che punta il dito su quello che non esiterei a chiamare il suicidio morale di una nazione, l’aspetto terribilmente visibile della catastrofe morale e civile che si misura in tasso di corruzione e crescita della zona grigia di contiguità fra politica e – purtroppo – criminalità, più o meno organizzata.

La bellezza non è un lusso e la sua distruzione ha lo stesso significato della distruzione di tutti gli altri beni senza i quali semplicemente non vale la pena di vivere. E per i quali, invece, il pane quotidiano è un mezzo (non di solo pane vive l’uomo): la giustizia, la libertà, la ricerca del vero.


Qual è la linea del Pd sull’ambiente italiano, o meglio sui nostri paesaggi storici  – se ce n’è una? I nostri paesaggi storici: vale a dire il volto stesso del nostro Paese, la nostra identità, il nostro marchio di valore agli occhi del mondo, la nostra residua risorsa economica, il (già scarso) futuro dei nostri figli, e inoltre e più in profondità il nostro e loro nutrimento spirituale e culturale, la nostra radice. 
Ma anche qualcosa che non appartiene a noi, e tanto meno a ciascuna regione o provincia o comune, ma in alcuni casi all’umanità intera.

….. una serie di problemi  vengono da decisioni prese “altrove” – altrove rispetto ai luoghi deputati della politica “nazionale”, le istituzioni dello Stato, il Parlamento, i partiti. E ha fatto esempi calzanti e familiari – la finanza, il lavoro. Ne ha fatto un terzo che invece non è calzante: l’ambiente.

No, Segretario, le decisioni sui nostri paesaggi storici non vengono prese altrove, ma nel cuore spesso già devastato di quegli stessi paesaggi. Le decisioni devastanti sono da vent’anni assolutamente bipartisan.

Sono purtroppo molto spesso l’opera di quegli amministratori locali, anche quelli della sinistra, che – come lei ha detto – intanto si stanno facendo le ossa per ascendere a ruoli più “nazionali”, nel Partito o nelle istituzioni. Peccato che se le  stiano facendo, le loro giovani ossa, a furia di lasciare che vadano in polvere le fragili, antiche ossa di questo Paese, che non sono solo quelle di Pompei o della Domus Aurea che frana. A furia di svendere spiagge e pinete e fiumi e colli e monti e legalità – in cambio di consenso, un consenso criminoso quand’anche diffuso. Con la solita scusa, quella che anche lei, stasera, sembra aver abbozzato a un accenno di Zagrebelsky in questa direzione: c’è prima la questione sociale. 

Distruggendo il motivo per cui da tutto il mondo si veniva in Italia – che non è certo quello di contemplare baie un tempo famose ridotte a periferie industriali, profili collinari dolcissimi stuprate da autostrade e superstrade sempre più ridondanti e inutili, valli montane immortalate nei libri di viaggio dei classici europei sfasciate dalla dinamite e coperte di cemento.

Ma c’è forse ancora di peggio: c’è una sottovalutazione talmente inconsapevole e irresponsabile di questo povero valore che ci resta, e che dovremmo tutti difendere con le unghie e coi denti, la bellezza, da far cadere le braccia. C’è un’idea profondamente e dimostrabilmente sbagliata di sviluppo. C’è assoluta ignoranza del fatto che certi paesaggi non appartengono a un comune o a una regione, ma all’umanità tutta intera.

A chi si debbono, a proposito di amministratori locali, quelle “costruzioni sull’alveo dei fiumi” che hanno causato addirittura perdite di vite umane? No, Segretario, queste decisioni non sono mai state prese altrove. Ma qui, nella mente e nel cuore dei luoghi che ne sono stati devastati, nell’opaca quotidianità degli scambi fra politica e affari, dagli eredi di quegli amministratori che per decenni avevano “salvato” il paesaggio. E che negli ultimi vent’anni hanno ceduto, come di schianto, al dilagare della malapolitica. 

La Spaccamaremma, l’autostrada più assurda del mondo, l’ha voluta Altiero Matteoli. Ma c’è chi dall’altra parte – dalla nostra, Segretario, e questo non è un grido di dolore, è un lungo pianto,  che non ha mai risposta – si sta sforzando di fare anche di peggio.

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