Questo è uno stralcio di
un’accorata lettera di Roberta De Monticelli, professoressa di filosofia
della persona presso l’università Vita-Salute del San Raffaele al
Segretario del Pd Bersani (e
pure alla sinistra intera e non solo) circa alcune riflessioni e quesiti che debbono
necessariamente avere risposte sia per la collettività che in ciascuno di noi.
Non occorre essere ambientalisti per osservare che in
Italia e soprattutto nella cerchia di Milano si è, e
si continua a costruire a dismisura (edifici oltremisura, Tem, Toem, Anas,
Pedemontana, Brebebi etc), ed i dati relativi al consumo di suolo,
parlano chiaro. In Italia vengono consumati
mediamente oltre 500 chilometri quadrati di territorio all'anno. E’ come
se ogni quattro mesi spuntasse una città uguale all’area urbanizzata del comune
di Milano. Ma ecco alcune riflessioni -
l’intera lettera potrete trovarla al link in fondo alla pagina.
Lettera- La questione che vorrei sollevare prende
avvio dal suo discorso iniziale, nel quale ha accennato a una serie di problemi
con cui la cittadinanza e dunque la politica si scontrano, qui ed ora, ma
che non nascono qui. Vengono da decisioni prese “altrove” – altrove
rispetto ai luoghi deputati della politica “nazionale”, le istituzioni dello
Stato, il Parlamento, i partiti. E ha fatto esempi calzanti e familiari – la
finanza, il lavoro. Ne
ha fatto un terzo che invece non è calzante: l’ambiente. Non sono
un’ambientalista – me ne mancano tutte le necessarie, complesse competenze.
DA NOI, l’ambiente è una questione che le comprende
quasi tutte. Perché è una questione che punta il dito su quello che non esiterei a
chiamare il suicidio morale di una nazione, l’aspetto terribilmente visibile
della catastrofe morale e civile che si misura in tasso di corruzione e
crescita della zona grigia di contiguità fra politica e – purtroppo –
criminalità, più o meno organizzata.
La bellezza non è un lusso e la sua distruzione ha lo stesso significato
della distruzione di tutti gli altri beni senza i quali semplicemente non vale
la pena di vivere. E per i quali, invece, il pane quotidiano è un mezzo (non di solo pane vive
l’uomo): la giustizia, la libertà, la ricerca del vero.
Qual è la linea del Pd sull’ambiente italiano, o meglio sui nostri paesaggi
storici – se ce n’è una? I nostri paesaggi storici: vale a dire il volto stesso del nostro Paese, la
nostra identità, il nostro marchio di valore agli occhi del mondo, la nostra residua
risorsa economica, il (già scarso) futuro dei nostri figli, e inoltre e più in
profondità il nostro e loro nutrimento spirituale e culturale, la nostra
radice.
Ma anche qualcosa che non appartiene a noi, e tanto meno a ciascuna regione o provincia o comune, ma in alcuni casi all’umanità intera.
Ma anche qualcosa che non appartiene a noi, e tanto meno a ciascuna regione o provincia o comune, ma in alcuni casi all’umanità intera.
….. una serie di problemi vengono da decisioni prese “altrove” – altrove rispetto
ai luoghi deputati della politica “nazionale”, le istituzioni dello Stato, il
Parlamento, i partiti. E ha fatto esempi calzanti e familiari – la finanza, il
lavoro. Ne
ha fatto un terzo che invece non è calzante: l’ambiente.
No, Segretario, le decisioni sui nostri paesaggi storici non vengono prese
altrove, ma nel cuore spesso già devastato di quegli stessi paesaggi. Le decisioni devastanti sono da vent’anni
assolutamente bipartisan.
Sono purtroppo molto spesso l’opera di quegli
amministratori locali, anche quelli della sinistra, che – come lei ha detto – intanto si stanno facendo
le ossa per ascendere a ruoli più “nazionali”, nel Partito o nelle istituzioni. Peccato che se le stiano facendo, le
loro giovani ossa, a furia di lasciare che vadano in polvere le fragili,
antiche ossa di questo Paese,
che non sono solo quelle di Pompei o della Domus Aurea che frana. A furia di svendere spiagge e pinete e fiumi e colli e
monti e legalità – in cambio di consenso, un consenso
criminoso quand’anche diffuso. Con
la solita scusa, quella che anche lei, stasera, sembra aver abbozzato a un accenno di
Zagrebelsky in questa direzione: c’è
prima la questione sociale.
Distruggendo il motivo per cui da tutto il mondo si
veniva in Italia – che
non è certo quello di contemplare baie un tempo famose ridotte a periferie
industriali, profili collinari dolcissimi stuprate da autostrade e superstrade
sempre più ridondanti e inutili, valli montane immortalate nei libri di viaggio
dei classici europei sfasciate dalla dinamite e coperte di cemento.
Ma c’è forse ancora di peggio: c’è una sottovalutazione talmente inconsapevole e irresponsabile
di questo povero valore che ci resta, e che dovremmo tutti difendere con le
unghie e coi denti, la bellezza, da far cadere le braccia. C’è un’idea
profondamente e dimostrabilmente sbagliata di sviluppo. C’è assoluta ignoranza del fatto che certi paesaggi
non appartengono a un comune o a una regione, ma all’umanità tutta intera.
A chi si debbono, a proposito di amministratori
locali, quelle “costruzioni sull’alveo dei fiumi” che hanno causato addirittura
perdite di vite umane? No, Segretario, queste decisioni non sono mai state
prese altrove. Ma qui, nella mente e nel cuore dei luoghi che ne sono stati
devastati, nell’opaca quotidianità degli scambi
fra politica e affari, dagli eredi di quegli amministratori che per decenni
avevano “salvato” il paesaggio. E che negli ultimi vent’anni hanno ceduto,
come di schianto, al dilagare della malapolitica.
La
Spaccamaremma, l’autostrada più assurda del mondo, l’ha voluta Altiero
Matteoli. Ma c’è chi dall’altra parte – dalla nostra, Segretario, e questo non
è un grido di dolore, è un lungo pianto, che non ha mai risposta – si sta
sforzando di fare anche di peggio.
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